Ai Signori Presidenti, Assessori e Consiglieri, Amministrazioni Provinciali di Lucca, Massa-Carrara, Pisa, Livorno.
Oggetto: illegittimità delle determinazioni della Comunità d’Ambito territoriale Toscana Costa e del piano interprovinciale per la gestione dei rifiuti. Per i motivi sotto indicati, anche alla luce delle concrete responsabilità personali di carattere contabile e giudiziario che potranno ricadere sugli amministratori pubblici cui spettano le decisioni in oggetto, DIFFIDA
I Consiglieri Provinciali a non adottare il piano interprovinciale così come proposto e chiede di prendere una forte iniziativa politica tesa a modificare la norma regionale che affida alla New Co la raccolta differenziata dei rifiuti in violazione della normativa vigente. Abbiamo appreso che la Comunità d’Ambito territoriale Toscana Costa (Comunità d’Ambito abrogata con effetto 01/01/2012 L.R. 69 del 28/12/2011 e sostituita dalla Autorità d’Ambito), in forza dell’articolo 23 bis comma 2 lett. b) del D.L. 112/2008, norma abrogata per effetto di referendum popolare del giugno 2011, ha costituito in data 16 dicembre 2011 una società destinata a divenire società mista pubblica privata (cosiddetta “New-co” ) e a cui verrà affidata anche la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti su tutto il territorio della Costa. Ciò è in contrasto con quanto stabilisce la norma comunitaria e la legge italiana. In particolare l’articolo 11 della Dir. 19 novembre 2008 n.2008/98/CE stabilisce che “gli Stati membri adottano misure intese a promuovere il riciclaggio di alta qualità e a tal fine istituiscono la raccolta differenziata dei rifiuti”.
Tale attività deve avvenire attraverso “la costituzione ed il sostegno di reti di riutilizzo e di riparazione, l’uso di strumenti economici, di criteri in materia di appalti, di obiettivi quantitativi o di altre misure.” Il legislatore italiano, nella legge di trasposizione della direttiva ora citata (D.Lgs. 205/2010), ha previsto che tale obiettivo di economicità può e deve avvenire attraverso l’affidamento esclusivo della gestione della raccolta differenziata ai Comuni nel territorio dei quali la raccolta medesima deve svolgersi. Il comma 1 dell’articolo 7 della citata legge di trasposizione ha modificato l’art. 181 del D. Lgs. 152/2006. Esso stabilisce che ”al fine di promuovere il riciclaggio di alta qualità… le Regioni stabiliscono i criteri con i quali i Comuni provvedono a realizzare la raccolta differenziata in conformità a quanto previsto dall’art. 205…”. Anche se la Comunità d’ambito è composta dai Comuni, non si può certo negare che tale Ente (la Comunità d’ambito poi Autorità d’Ambito) è un soggetto giuridico ed operativo completamente diverso dai singoli Comuni che la compongono, esattamente come non può sostenersi che una società sia la stessa cosa di un suo socio.
Se quindi la legge, recependo una norma comunitaria, ha inteso affidare ai Comuni la realizzazione della raccolta differenziata; non può certo sostenersi che la normativa permetta di sostituire al Comune una Comunità d’ambito costituita da un elevatissimo numero di soci, né tantomeno che, in subordine, questa Comunità affidi la realizzazione della raccolta differenziata ad un soggetto (la società mista) che con gli interessi e le specifiche prerogative di ogni singolo Comune non ha assolutamente nulla a che spartire. Ciò appare evidente, oltre che dall’interpretazione letterale della norma, da due semplici considerazioni:
- il legislatore ha evidentemente inteso affidare ai Comuni un servizio remunerativo.
- le caratteristiche con cui si svolge la raccolta differenziata richiedono che essa sia organizzata e realizzata in ambito strettamente locale.
Infatti, chi meglio di un Comune (o di una sua società) può gestire con la necessaria attenzione e capillarità un servizio che richiede ampio coinvolgimento dei cittadini (si pensi ad esempio alla raccolta porta a porta).
Questo concetto è stato rafforzato dal legislatore con la previsione di gravi sanzioni (comma 3° dell’articolo 205 del D. Lgs. 152/2006) proprio per quei Comuni che non raggiungono gli obiettivi indicati al comma 1 del medesimo articolo (65% di RD a dicembre 2012). E’ quindi del tutto illogico e soprattutto illegittimo, pensare di aggirare la norma come se i Comuni potessero delegare ad un soggetto terzo, in parte estraneo alla Pubblica Amministrazione, un servizio che sono chiamati a gestire direttamente, o al massimo in forma di piccoli consorzi e società locali, e di cui poi devono rispondere sulla base del rispetto degli obbiettivi di efficienza di raccolta raggiunti. La Comunità d’ambito ha certamente competenze di organizzazione e coordinamento nella gestione dei rifiuti urbani ma non può arrogarsi competenze sulla raccolta differenziata che, per espressa norma di legge, spettano ad altri Enti, per l’appunto i Comuni. Inoltre l’impostazione proposta introduce, di fatto, un soggetto monopolistico violando pesantemente il principio di concorrenza e di libero mercato in un settore che la legislazione europea, così come recepita dal legislatore italiano, ha aperto alla libera iniziativa dei soggetti operanti nel settore della raccolta differenziata finalizzata al recupero dei materiali.
Oltre a ciò, come anticipato, la previsione dell’affidamento alla New Co, si basa su una norma abrogata a “furor di popolo” con il referendum contro l’affidamento ai privati di servizi di rilevanza economica pubblica, quali sono l’acqua e i rifiuti. Esito che la norma regionale e le decisioni qui contestate ritengono evidentemente di non dover recepire. Inoltre, nella New Co, l’ingresso del capitale privato deve ancora avvenire. Eventualità questa tuttavia impraticabile poiché è stata abrogata proprio la norma che lo prevedeva (il citato art. 23 bis del D.L. 112/2008), mentre l’art. 26 della LR 61/2007 è troppo generico per legittimare l’affidamento ad un unico soggetto il servizio.
Un discorso a parte merita l’aspetto economico dell’intera questione. Si è visto che la direttiva comunitaria richiede che la raccolta differenziata venga realizzata con l’uso di strumenti economici. Si legge nel bilancio dell’ATO, sotto la voce “funzione 09 – funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, servizio 05- servizio smaltimento e rifiuti (ma non si doveva parlare di raccolta differenziata, quindi di recupero?), che il codice 20905062600 soltanto per incarichi di consulenza per costituzione di società mista ammonta alla rispettabile cifra di € 427.916,50. Forse sarebbe opportuno e prudente che gli amministratori, prima di procedere oltre, chiedessero su questo un parere alla Corte dei Conti.
Altro aspetto da evidenziare è che il piano proposto assume come “fisiologiche” la mancata attuazione delle buone pratiche ed il mancato raggiungimento delle quote percentuali di RD imposte per legge, dilazionando queste ultime all’anno 2020. Questo comporta la previsione di una produzione eccesiva di rifiuti non differenziati da destinare agli impianti con notevoli aumenti dei costi di gestione. La dilazione degli obbiettivi di raccolta differenziata poi costituisce una deroga -del tutto arbitaria- al dettato normativo esponendo chi vi aderisce a pesanti sanzioni D. Lgs. 152/2006, articolo 205 comma 3. In merito, anche la Corte Costituzionale si è espressa in modo inequivocabile quando, con la sentenza 158/2012 pubblicata sulla G.U. il 27 giugno scorso, ha ribadito in via definitiva che la potestà di concedere deroghe ai Comuni relativamente agli obiettivi di raccolta differenziata, appartiene unicamente allo Stato e non alle Regioni (vedi ATO poi Comunità d’ambito) che non possono disciplinare unilateralmente in materia. Si sottolinea inoltre la sovrastima della quantità dei rifiuti indifferenziati prevista all’interno del piano interprovinciale, sovrastima già smentita dai dati ufficiali pubblicati dalla Regione Toscana, (fonte ARRR Osservatorio Rifiuti: RU prodotti anno 2010: 942.503 ton.; anno 2011: 888.603 ton) che dimostrano un calo di produzione di circa il 6% in un solo anno. Per gli stessi anni le previsioni del piano interprovinciale fissavano una produzione di RU rispettivamente pari a 927.229 e 937.428 tonnellate, con un incremento annuo di circa 1,1%. La contraddizione tra i dati reali e quelli stimati all’interno del piano è evidente, come scandalosamente evidente è il motivo vero a cui tali previsioni sottendono: la necessità di giustificare la costruzione di un nuovo grande inceneritore a Livorno. Bloccare il piano provinciale smascherandone la falsità dei presupposti significa bloccare la costruzione di un impianto tanto costoso quanto inutile e ambientalmente pericoloso, e la cui tecnologia è, alla luce delle normative vigenti e delle modifiche in corso, ormai senza futuro.
Infatti, tale sovrastima è illogica, dato che la Direttiva 2008/98, recepita dal D. Lgs. 152/2006, prevede una precisa gerarchia nell’organizzazione della gestione dei rifiuti: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) e solo per ultimo lo smaltimento. Le priorità all’interno di questa gerarchia sono state ulteriormente definite dal Parlamento Europeo nel mese di aprile u.s., tramite la Relazione per la revisione del programma d’azione in materia di ambiente indirizzata alla Commissione: l’aula chiede alla Commissione europea una migliore applicazione della vigente legislazione comunitaria sui rifiuti ed obiettivi più ambiziosi di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio, tra cui un netto decremento della produzione di rifiuti. Tra le richieste del Parlamento spicca inoltre l’introduzione del divieto d’incenerimento dei rifiuti che possono essere riciclati o compostati.
E’ chiaro dunque come le indicazioni del piano risultino in contrasto con le buone pratiche richieste e normate dalla Unione Europea.
Tale dato è confermato anche dal fatto che i “flussi a regime”, inseriti nel piano interprovinciale, prevedono che il sottovaglio prodotto a Pioppogatto anziché venire stabilizzato in loco, mantenendo il sistema più flessibile e meno costoso, sia destinato all’incenerimento, creando così una “rigidità di sistema” derivante dalla necessità di ottenere un flusso continuo di combustibile . Una situazione questa che ripropone, a tutto vantaggio del futuro gestore, la necessità di introdurre una tipologia di contratto modello “Daviddi”, compresa la clausola capestro del vuoto per pieno, che tanto ha vessato la popolazione della Versilia e depauperato le casse comunali.
Ciò vale naturalmente per tutti i Comuni dell’ATO che saranno costretti, “per contratto”, ad alimentare con i loro rifiuti gli impianto di incenerimento, sottraendo, in questo modo, risorse indispensabili per incrementare le R.D. e svolgere le azioni di prevenzione e riduzione dei rifiuti imposte per legge. Contrariamente alla rigidità del sistema previsto nel Piano Interprovinciale, il progetto di riconversione dell’impianto T.M.B. di Pioppogatto (Piano Favoino) ha come punto di forza la flessibilità, ovvero, quella capacità di modificare la gestione dei flussi in base alle esigenze del territorio e alla qualità del rifiuto residuo. Questo gli fa acquisire un alto valore strategico sia per la selezione dei rifiuti indifferenziati, sia per il trattamento del residuo secco a freddo, con una ottima risposta sia dal punto di vista ambientale che da quello occupazionale (creare posti di lavoro è tra le finalità della buona amministrazione).
Invece la previsione di conferimento a combustione del sottovaglio crea un “asservimento strategico operativo” verso l’impianto d’incenerimento che a sua volta:
- non consente di lavorare su un’ulteriore progressiva contrazione dei RUR mediante l’ottimizzazione delle R.D. e delle pratiche di riduzione;
- tale scelta inoltre (e non è cosa da poco conto) mette in crisi l’operatività di Pioppogatto ed il relativo livello occupazionale, perché costringe da qui a qualche anno a dismettere una sezione operativa (quella più grande ed importante in termini di costi di investimento ed esercizio)
- fa perdere di significato ed economicità ad ogni lavorazione prevista a Pioppogatto, visto che la destinazione ultima di oltre il 60% dei rifiuti residui è l’incenerimento .
LA RETE AMBIENTALE DELLA VERSILIA
(composta dai seguenti comitati- associazioni)
Medicina Democratica Sezione di Viareggio
Associazione per la Tutela Ambientale della Versilia
Amici della terra Versilia,
Co.As.Ver.
Comitato Capezzano Vive
Comitato dalla parte del cittadino Forte dei Marmi
Comitato Marco Polo
Comitato Pantaneto Massarosa
Comitato Pedona ambiente e salute
Comitato Piano del Quercione
Comitato Salviamo Viareggio
Italia Nostra Versilia
Comitato Ambiente e Salute
Bagni di Lucca – Borgo a Mozzano