Alla fine il responso è arrivato. Seppur in modo tardivo, giusto per sottolineare, ce ne fosse stato ulteriormente bisogno, il divario tra il mondo reale e i suoi problemi concreti, che richiederebbero risposte rapide, chiare e precise, e le alte sfere dell’amministrazione e del diritto che per colpa di un sistema lento e farraginoso hanno impiegato un anno per dire ufficialmente quello che già si era capito subito dopo le elezioni : ovvero che le operazioni di voto si erano rivelate un bel pasticciaccio. Ci ricordiamo ancora tra un misto di sorpresa e sgomento le parole del presidente del seggio, quello maggiormente incriminato, impegnato a ricostruire il verbale con i dati “ in suo possesso” facendo ricorso a una “memoria di ferro”, a appunti su fogli e fogliettini vari; risultato come riportato anche in sede di motivazione della sentenza, il riscontro di tutta una serie di dichiarazioni contraddittorie e di sconcertanti balletti di cifre che portano a delineare come si legge nel resoconto del Tar, un quadro assolutamente opaco in ordine alle modalità nelle quali si è svolta la competizione elettorale, irrimediabilmente compromessa. Schede desaparecide, verbali incompleti, conti che non tornano, un mix esplosivo che lascia sottintendere ben altro quando nella sentenza, riguardo alla strane modalità di scomparsa delle numerose schede elettorali , si esclude possa essersi trattato di un banale errore, lasciando aperta la porta a inquietanti interrogativi. Quanto è bastato a decretare ufficialmente la nullità di un voto minato come si legge nel dispositivo da vizi sostanziali e invalidanti talmente gravi da pregiudicare in toto l’attendibilità e la regolarità delle operazioni elettorali. Dunque la bomba a cui è stata data lunga miccia grazie al meccanismo perverso che ha fatto insediare e governare per un anno un sindaco uscito da un’elezione tacciata fin dall’inizio di mille dubbi sulla regolarità di svolgimento delle sue operazioni di scrutinio, alla fine è scoppiata deflagrando un’intera città, già a brandelli da ogni punto di vista, che finisce nel libro dei record per aver collezionato in una manciata di anni più “commissari” di un distretto di Polizia, una città nel limbo, oggi ostaggio di un caos amministrativo da colmare al più presto con l’arrivo del nuovo commissario prefettizio e alle prese con un presente oltre che un futuro ancora tutto da delineare e definire su cui pesa oltretutto il recente annuncio delle dimissioni in massa da parte dei membri nominati all’interno delle partecipate fondazioni, una mossa piuttosto discutibile in questo delicato momento di vuoto politico. Una città alle prese con gravi problemi legati al dissesto, su cui si era iniziato un percorso da parte dell’Amministrazione Del Ghingaro ma pieno di censure da parte dei revisori dei conti, con operazioni spesso non condivise con la cittadinanza (leggi forno crematorio) manovre (sulle partecipate per esempio) azzardate, di non così sicuro giovamento per i conti del Comune, con sbavature di legittimità che hanno portato spesso a raddrizzare in extremis il tiro dell’azione amministrativa, una città su cui hanno pesato ritardi, scelte e confronti spesso rimandati. Un sindaco e una giunta su cui pendeva fin dall’inizio la spada di Damocle del ricorso, messi in continua discussione ad ogni tornata di verifiche, riconteggi e udienze in Tribunale, mentre intanto lungo la via si perdevano pezzi di maggioranza in consiglio comunale, un’amministrazione spinta più dagli slogan che da un’effettiva opera di rinnovamento, che mentre frenava in ultimo la sua azione, rarefacendo e ritardando la convocazione degli ultimi consigli comunali in attesa della pronuncia del Tar, dall’altra parte nonostante l’avvio della procedura di scioglimento degli organi di governo della città continuava rediviva a indicare nomine e a procedere a assegnazioni di chiaro indirizzo politico complice un inspiegabile allungamento dei tempi di insediamento del nuovo commissario prefettizio. Intanto sul silenzio di tomba di Del Ghingaro, se da una parte spiccano le dichiarazioni della senatrice Granaiola che insieme al Presidente della Regione Rossi auspica il ricorso al Consiglio di Stato, dall’altra ci sono i fatti incontrovertibili, le “prove provate” che qualcosa in quella tornata elettorale è andato proprio storto e forse sarebbe stato meglio per Rossi invece che parlare di un sindaco pienamente legittimato, a cui mettere a disposizione l’avvocatura regionale, di una città pienamente legittimata ad avere finalmente una chiarificazione di quanto accaduto con conseguente resa dei conti riguardo a uno degli episodi più bui della sua storia democratica, e se - come dice Rossi - i giudici possono sbagliare qui invece è incontrovertibile che qualcuno ha sbagliato sicuramente facendo gravi danni alla città e bisognerebbe fosse obbligato a risponderne personalmente. Intanto però a farne le spese per ora sono i soliti, tanto per cominciare come da sentenza, i tremila euro da versare al verificatore per l’opera di controllo svolta nel procedimento, che sicuramente sono un bruscolo nel mare magnum del dissesto, sono stati posti a carico del Comune di Viareggio, ovvero dei suoi cittadini.. così che più della spesa a bruciare sono le questioni di principio sostenute dall’ennesima domanda: forse finora i viareggini non hanno ancora pagato abbastanza per gli errori fatti da altri e di cui sono i primi a patirne oltretutto le conseguenze?
Annamaria Pacilio
Portavoce M5S Viareggio
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